Dimagrimento Drastico: I Rischi Biochimici e Ormonali Nascosti dietro le Diete Estreme e i Farmaci Potenti

Dott. Prof. Vito Traversa

Sottotitolo: Perdere 20 o 30 kg in pochi mesi può compromettere il sistema ormonale, psichico e metabolico. Una guida scientifica per capire cosa accade nel corpo.


Introduzione

Ogni anno, migliaia di persone scelgono percorsi drastici per dimagrire velocemente: diete ipocaloriche estreme, farmaci anoressizzanti, antidepressivi usati off-label e persino interventi chirurgici. Ma a quale prezzo? L’illusione della perdita di peso rapida nasconde un pericoloso squilibrio ormonale e metabolico che può durare anni.


1. L’effetto yo-yo e l’adattamento metabolico: il corpo entra in allarme

Durante una dieta severa, l’organismo percepisce un rischio di sopravvivenza. Questo attiva meccanismi di “fame genetica” che coinvolgono il sistema neuroendocrino. Gli studi di Leibel et al. (1995) dimostrano che, dopo una perdita di peso significativa, il corpo riduce il metabolismo basale in modo persistente, anche quando si riprende peso. Questo è noto come adattamento termogenico.

Fonte: Leibel, R.L., Rosenbaum, M., & Hirsch, J. (1995). Changes in energy expenditure resulting from altered body weight. New England Journal of Medicine, 332(10), 621–628. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4872449/

Proseguendo su questa linea, altri studi hanno evidenziato che la perdita di peso attiva una cascata neuroendocrina che coinvolge ipotalamo, asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene), leptina e grelina. La leptina, un ormone prodotto dagli adipociti, cala drasticamente con la perdita di grasso, segnalando al cervello una condizione di carenza energetica. Questo induce un aumento della fame e una riduzione dell’attività simpatica, peggiorando la capacità di bruciare energia.

Fonte: Rosenbaum, M., & Leibel, R.L. (2010). Adaptive thermogenesis in humans. International Journal of Obesity, 34(S1), S47–S55. https://www.nature.com/articles/ijo201028

Contemporaneamente, la grelina, ormone prodotto dallo stomaco, tende ad aumentare, incrementando ulteriormente la sensazione di fame. Questo doppio meccanismo – leptina che scende, grelina che sale – rende estremamente difficile mantenere il peso perso. Tale compensazione ormonale è spesso alla base dell’effetto yo-yo nelle diete ipocaloriche classiche.

Fonte: Cummings, D.E., et al. (2002). A preprandial rise in plasma ghrelin levels suggests a role in meal initiation in humans. Diabetes, 50(8), 1714–1719. https://diabetesjournals.org/diabetes/article/50/8/1714/10912

Inoltre, la restrizione calorica prolungata attiva anche il cortisolo, ormone dello stress, che promuove il catabolismo muscolare e l’accumulo viscerale di grasso, peggiorando la composizione corporea e portando a una condizione definita “obesità sarcopenica”.

Fonte: Tomiyama, A.J., et al. (2010). Dieting and stress: An examination of stress-induced cortisol and emotional eating in women. Health Psychology, 29(4), 421–427. https://doi.org/10.1037/a0018600

Alla luce di queste evidenze, diventa evidente che un approccio basato solo sulla riduzione calorica non è sostenibile né efficace nel lungo termine. È necessario invece ripristinare l’equilibrio neuroendocrino e metabolico attraverso protocolli integrati, personalizzati, e progressivi, che considerino non solo l’introito calorico, ma anche la qualità nutrizionale, l’allenamento muscolare, il sonno, la gestione dello stress e la funzionalità epatica.


2. La ghrelina e la fame cronica dopo la dieta

La ghrelina, nota come “ormone della fame”, aumenta in risposta alla perdita di peso. Studi clinici hanno mostrato che livelli elevati di ghrelina persistono anche un anno dopo aver concluso una dieta ipocalorica. Il risultato? Una fame cronica difficile da controllare, che spesso porta al recupero del peso.

Fonte: Sumithran, P. et al. (2011). Long-term persistence of hormonal adaptations to weight loss. New England Journal of Medicine, 365, 1597–1604. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6520897/

Questa persistenza della ghrelina è stata messa in relazione con un fenomeno chiamato “upregulation ormonale compensativa”: anche quando l’individuo ritorna a un peso normale, l’ipotalamo continua a ricevere segnali di fame amplificati, come se fosse ancora in stato di deprivazione energetica.

A livello molecolare, la ghrelina è un peptide di 28 amminoacidi che agisce sui recettori GHS-R1a nell’ipotalamo arcuato, attivando i neuroni NPY/AgRP (neuropeptide Y e agouti-related peptide), potenti stimolatori dell’appetito. Questa attivazione ha anche un effetto inibitorio sui neuroni anoressigeni POMC/CART, riducendo la sazietà.

Fonte: Müller, T.D., Nogueiras, R., Andermann, M.L., Andrews, Z.B., Anker, S.D., Argente, J., et al. (2015). Ghrelin. Molecular Metabolism, 4(6), 437–460. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4473155/

Inoltre, la ghrelina interagisce con il circuito dopaminergico mesolimbico, in particolare con il nucleo accumbens e l’area tegmentale ventrale (VTA), aumentando la motivazione e la gratificazione legata al cibo. Questo spiega perché chi ha subito una forte restrizione alimentare tende a sviluppare comportamenti compulsivi verso il cibo ipercalorico.

Fonte: Abizaid, A. et al. (2006). Ghrelin modulates the activity and synaptic input organization of midbrain dopamine neurons while promoting appetite. Journal of Clinical Investigation, 116(12), 3229–3239. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1676311/

Anche la forma attiva della ghrelina – la ghrelina acilata (acyl-ghrelin) – ha un’emivita breve ma una potenza biologica significativa, ed è in grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica. Aumenta nei digiuni prolungati e resta elevata anche dopo la reintroduzione alimentare, rallentando il ritorno a un equilibrio omeostatico.

In studi su soggetti sottoposti a chirurgia bariatrica o dieta proteica drastica, si è osservato che solo interventi con impatto diretto sull’intestino (come la sleeve gastrectomy) sono in grado di sopprimere stabilmente i livelli di ghrelina, mentre la dieta da sola, anche se efficace nel breve termine, non riduce l’iperproduzione di questo ormone.

Fonte: Cummings, D.E., et al. (2004). Plasma ghrelin levels after diet-induced weight loss or gastric bypass surgery. New England Journal of Medicine, 346(21), 1623–1630. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa012908

Tutto ciò evidenzia come il trattamento del sovrappeso non possa basarsi unicamente sulla forza di volontà o sul deficit calorico. Serve ripristinare la regolazione ormonale centrale, modulare l’attività dei recettori della ghrelina e intervenire su assi cerebrali più profondi per evitare la recidiva.


3. Il cortisolo e la soppressione della massa magra

Le diete drastiche attivano l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con un aumento del cortisolo, l’ormone dello stress. Il cortisolo inibisce la sintesi proteica, stimola il catabolismo muscolare e peggiora la sensibilità insulinica. Il risultato è una riduzione della massa magra e un rallentamento ulteriore del metabolismo.

Fonte: Rosenbaum, M., & Leibel, R.L. (2010). Adaptive thermogenesis in humans. International Journal of Obesity, 34(Suppl 1), S47–S55. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3771367/

Il cortisolo esercita diversi effetti metabolici:

  1. Stimola il catabolismo muscolare: promuove la degradazione delle proteine nei muscoli scheletrici per ricavare amminoacidi da convertire in glucosio (gluconeogenesi epatica). Ciò comporta una perdita diretta di massa muscolare magra, essenziale per mantenere alto il metabolismo basale.
  2. Inibisce la sintesi proteica: blocca l’anabolismo muscolare agendo negativamente sull’mTOR (mammalian target of rapamycin), uno dei principali attivatori della crescita cellulare e della sintesi proteica muscolare.
  3. Peggiora la sensibilità insulinica: il cortisolo induce insulino-resistenza epatica e periferica, favorendo l’accumulo di grasso viscerale. Questo effetto è ulteriormente aggravato quando la dieta è povera di carboidrati complessi e micronutrienti.
  4. Riduce la conversione degli ormoni tiroidei attivi: inibisce la conversione della tiroxina (T4) in triiodotironina (T3), rallentando ulteriormente il metabolismo e contribuendo alla cosiddetta “modalità fame”.

Fonte: Rosenbaum, M., & Leibel, R.L. (2010). Adaptive thermogenesis in humans. International Journal of Obesity, 34(Suppl 1), S47–S55.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3771367/

Uno studio fondamentale che conferma il ruolo del cortisolo nella perdita di massa magra è quello di Hackney, A.C. et al. (1999), che ha osservato un significativo aumento del cortisolo sierico e una contestuale riduzione di testosterone e IGF-1 (ormoni anabolici) in soggetti sottoposti a diete ipocaloriche abbinate ad attività fisica intensa.
Fonte: Hackney, A.C. (1999). Influence of cortisol on energy regulation and testosterone responses to exercise. Current Opinion in Clinical Nutrition and Metabolic Care, 2(6), 523–526.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/10577495/

Un’altra revisione importante è quella di Tomiyama et al. (2010), che collega il tentativo cronico di perdere peso con un incremento basale e reattivo del cortisolo, peggiorando l’adattamento metabolico e la regolazione appetitiva.
Fonte: Tomiyama, A.J. et al. (2010). Dieting: stress and weight gain. Appetite, 55(3), 681–683.
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S019566631000483X

La dieta restrittiva, aumentando il cortisolo, non solo innesca la perdita della massa magra, ma predispone anche a un ritorno al peso iniziale con aumento della massa grassa, peggiorando la composizione corporea complessiva. Questo ciclo è noto come “recidiva metabolica” e rappresenta uno dei più grandi ostacoli nel trattamento dell’obesità e del sovrappeso cronico.


4. Farmaci psicoattivi: antidepressivi, antiepilettici e rischio metabolico

Molecole come fluoxetina, sertralina (SSRI) o topiramato (antiepilettico usato off-label per la perdita di peso) possono ridurre temporaneamente l’appetito. Tuttavia, alterano i livelli di serotonina e dopamina, influenzando negativamente il tono dell’umore, la libido e le funzioni cognitive. Inoltre, l’uso cronico può alterare il metabolismo glucidico e aumentare il rischio di sindrome metabolica.

Fonte: Cummings, D.E., & Overduin, J. (2007). Gastrointestinal regulation of food intake. Journal of Clinical Investigation, 117(1), 13–23. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3065312/

L’uso di farmaci psicoattivi per il controllo del peso corporeo è un approccio controverso, spesso adottato in modo off-label o in contesti non supervisionati. Molecole come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) — fluoxetina, sertralina, citalopram, escitalopram — e antiepilettici come il topiramato vengono talvolta utilizzati per il loro effetto anoressizzante secondario, cioè la capacità di ridurre l’appetito come effetto collaterale non primario. Tuttavia, le conseguenze metaboliche e neuroendocrine a lungo termine sollevano seri interrogativi.

Effetti sul sistema serotoninergico e dopaminergico

Gli SSRI agiscono aumentando i livelli di serotonina nella fessura sinaptica — cioè lo spazio tra due neuroni dove avviene la trasmissione dell’impulso nervoso. La sinapsi è infatti la struttura di connessione tra due cellule nervose, e nella fessura sinaptica si trovano i neurotrasmettitori come la serotonina.

Questi farmaci inibiscono la ricaptazione della serotonina, cioè impediscono al neurone presinaptico di “riassorbirla” dopo che ha trasmesso il segnale. In altre parole, lasciano la serotonina attiva più a lungo nello spazio sinaptico, amplificandone l’effetto. Questo meccanismo può ridurre temporaneamente l’appetito, ma altera anche la regolazione fisiologica del tono dell’umore, del ciclo sonno-veglia, della libido e delle funzioni cognitive.

Uno squilibrio cronico indotto da questi farmaci può portare a:

  • Disfunzioni sessuali (riduzione della libido, anorgasmia), come evidenziato da Serretti & Chiesa (2009).
    Fonte: Serretti, A., & Chiesa, A. (2009). Treatment-emergent sexual dysfunction related to antidepressants: a meta-analysis. Journal of Clinical Psychopharmacology, 29(3), 259–266.
    https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/19440080/
  • Alterazioni della dopamina mesolimbica, cioè del sistema dopaminergico coinvolto nella motivazione e nella gratificazione, con manifestazioni di apatia e dismotivazione anche in soggetti senza patologie psichiatriche pregresse.
    Fonte: Dunlop, B.W., & Nemeroff, C.B. (2007). The role of dopamine in the pathophysiology of depression. Archives of General Psychiatry, 64(3), 327–337.
    https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/fullarticle/210007

Effetti sul metabolismo glucidico

Numerosi studi hanno segnalato che l’uso cronico di SSRI può indurre resistenza insulinica, ovvero una ridotta sensibilità delle cellule all’insulina (l’ormone che regola i livelli di glucosio nel sangue), e alterazioni del metabolismo degli zuccheri. Questo rischio è particolarmente elevato nei pazienti predisposti, obesi o in sovrappeso.

Uno studio pubblicato su Diabetes Care ha mostrato un aumento significativo del rischio di diabete di tipo 2 nei pazienti che assumono antidepressivi per lunghi periodi.
Fonte: Andersohn, F., et al. (2009). Long-term use of antidepressants for depressive disorders and the risk of diabetes mellitus. Diabetes Care, 32(4), 602–607.
https://diabetesjournals.org/care/article/32/4/602/29220

Il topiramato: effetti neurologici e metabolici

Il topiramato, spesso utilizzato in combinazione con la fentermina nei protocolli clinici per la perdita di peso, esercita un effetto anoressizzante ma comporta rischi non trascurabili. Tra gli effetti collaterali documentati:

  • Acidosi metabolica, cioè un abbassamento del pH del sangue a causa di un’eccessiva acidità sistemica
  • Parestesie, ovvero formicolii o sensazioni anomale agli arti
  • Deficit cognitivi (rallentamento mentale, difficoltà nella concentrazione e nel recupero lessicale)
  • Alterazioni dell’umore, anche in soggetti senza pregressa vulnerabilità psichiatrica

Fonte: Bray, G.A., & Ryan, D.H. (2014). Update on obesity pharmacotherapy. Annals of the New York Academy of Sciences, 1311(1), 1–13.
https://nyaspubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/nyas.12332

Rischio di sindrome metabolica

Un aspetto clinicamente rilevante, benché meno discusso, è l’aumento del rischio di sindrome metabolica nei pazienti in trattamento cronico con antidepressivi e stabilizzatori dell’umore. La sindrome metabolica è una condizione clinica caratterizzata da:

  • Aumento della circonferenza addominale
  • Iperglicemia a digiuno
  • Ipertrigliceridemia
  • Ipertensione arteriosa
  • Resistenza insulinica

Questo quadro è il risultato di una combinazione di incremento dell’appetito, ridotta attività fisica, accumulo di grasso viscerale e disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), che controlla la risposta allo stress e il rilascio del cortisolo.

Uno studio su larga scala ha confermato che l’assunzione cronica di psicofarmaci è associata a un aumento statisticamente significativo della circonferenza vita, dei trigliceridi e della glicemia a digiuno.
Fonte: Pan, A., et al. (2012). Use of antidepressant medication and risk of type 2 diabetes: results from three cohorts of US adults. Diabetologia, 55, 63–72.
https://link.springer.com/article/10.1007/s00125-011-2330-0


Farmaci come fluoxetina, sertralina e topiramato non sono strumenti sicuri per una gestione sostenibile del peso corporeo. Gli effetti iniziali sull’appetito sono transitori, mentre le alterazioni neuroendocrine e metaboliche possono perdurare nel tempo o aggravarsi. L’impiego cronico di questi farmaci può contribuire allo sviluppo di obesità viscerale, sindrome metabolica, disfunzioni cognitive e disturbi dell’umore, compromettendo la salute generale del paziente.


5. Il ruolo dell’adiponectina e della leptina nella ripresa del peso

La leptina e l’adiponectina sono due ormoni prodotti principalmente dal tessuto adiposo (cioè il grasso corporeo) e giocano un ruolo cruciale nella regolazione del metabolismo, del senso di fame e della risposta insulinica.

Leptina: ormone della sazietà

La leptina è conosciuta come “l’ormone della sazietà” perché segnala all’ipotalamo — una regione del cervello che regola fame, sete, temperatura e metabolismo — quando l’organismo ha accumulato abbastanza energia sotto forma di grasso, riducendo così lo stimolo della fame.

Dopo una perdita di peso significativa, i livelli di leptina crollano rapidamente. Questo calo viene percepito dal cervello come una minaccia alla sopravvivenza, innescando una risposta compensatoria: aumento della fame, riduzione della spesa energetica e stimolazione del comportamento alimentare. In altre parole, il corpo interpreta il dimagrimento come una “carestia” e cerca di ripristinare il peso perduto.

Anche in soggetti che hanno raggiunto un peso forma, la leptina rimane bassa per mesi, contribuendo a una fame persistente e a una maggiore vulnerabilità alla ricaduta.

Adiponectina: insulino-sensibilizzante e antinfiammatoria

L’adiponectina è un altro ormone rilasciato dal tessuto adiposo, con funzione insulino-sensibilizzante, cioè migliora la capacità dell’insulina di abbassare la glicemia, e ha anche un’azione antinfiammatoria sistemica.

Durante una fase iniziale di perdita di peso, i livelli di adiponectina tendono ad aumentare, favorendo il miglioramento della sensibilità insulinica e il controllo glicemico. Tuttavia, se la riduzione della massa grassa è troppo rapida o eccessiva, questo equilibrio si altera: l’adiponectina può ridursi o perdere efficacia, specialmente se accompagnata da stress metabolico o malnutrizione da dieta ipocalorica estrema.

Una disregolazione dell’adiponectina compromette la gestione del glucosio, aumenta l’infiammazione di basso grado (tipica dell’obesità viscerale) e può predisporre alla resistenza insulinica, rendendo più facile il recupero del peso perso e più difficile la sua gestione a lungo termine.


La riduzione della leptina e l’alterazione dell’adiponectina dopo una dieta drastica creano un ambiente ormonale sfavorevole: più fame, meno sazietà, peggior controllo glicemico e maggiore infiammazione. Questi meccanismi spiegano perché il recupero del peso dopo una dieta restrittiva non è solo una questione di “forza di volontà”, ma il risultato di adattamenti biologici profondi che spingono il corpo a tornare al suo peso precedente.

Fonte: Blundell, J.E. et al. (2015). The biology of appetite control. American Journal of Clinical Nutrition, 94(1), 66–72.
https://academic.oup.com/ajcn/article/94/1/66/4412737

Le diete del marketing: cibi precotti, premi dimagranti e il business della perdita di peso

Negli ultimi anni — e con una massiccia presenza pubblicitaria nei media — si è diffuso un modello commerciale di “dimagrimento a distanza” che propone piani alimentari preconfezionati e kit di cibi pronti, venduti online o tramite call center, accompagnati da sistemi a premi: più chili perdi, più ricevi sconti, incentivi o benefit. Questo approccio, che sembra coniugare comodità e promesse rapide, presenta però gravi criticità fisiologiche, metaboliche ed etiche.

Una narrazione fuorviante del dimagrimento

Queste aziende costruiscono un messaggio semplificato: “puoi perdere 30-40 kg in pochi mesi mangiando pasti già pronti, senza cucinare, senza sforzi”. Si tratta di una narrazione profondamente diseducativa e biologicamente errata.

Infatti, l’organismo non è una macchina lineare: non basta introdurre meno calorie per ottenere un risultato sano e stabile. La perdita di peso, specialmente se rapida, attiva una risposta adattativa del corpo che, come spiegato in precedenza, coinvolge:

  • Riduzione dei livelli di leptina (cioè l’ormone della sazietà): porta a maggiore fame, meno controllo, e una continua ricerca di cibo.
  • Attivazione dell’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene): aumenta il cortisolo, cioè l’ormone dello stress, che stimola la perdita di muscolo e favorisce l’accumulo di grasso viscerale.
  • Adattamento termogenico: rallentamento del metabolismo basale (cioè il consumo energetico a riposo), rendendo sempre più difficile continuare a perdere peso.

Cibi precotti e risposta ormonale

La maggior parte dei prodotti “dietetici” industriali venduti in questi pacchetti a domicilio sono fortemente processati, spesso ricchi di edulcoranti, emulsionanti, isolati proteici, e privi di fibra viva o micronutrienti sinergici. Questi elementi hanno scarso impatto sulla sazietà duratura, non stimolano correttamente i recettori intestinali che regolano la fame e non favoriscono una digestione fisiologica.

Ad esempio:

  • L’assenza di fibra naturale riduce la produzione intestinale di GLP-1, un ormone che segnala sazietà al cervello.
  • I pasti monotoni e preconfezionati desensibilizzano il sistema nervoso enterico, cioè la rete neurale che regola il tratto gastrointestinale, riducendo la percezione della fame fisiologica e promuovendo invece una fame “nervosa” o disordinata.
  • L’esclusione del piacere e del contatto reale col cibo compromette il circuito dopaminergico della gratificazione alimentare, generando craving (cioè desideri compulsivi) nel lungo periodo.

Il problema etico-professionale

Come medici, biologi e professionisti sanitari, il nostro ruolo è educare alla salute e non sfruttare la vulnerabilità di chi soffre di obesità o disagio corporeo. Incentivare un comportamento alimentare con premi economici, classifiche o bonus per i più magri è non solo scorretto, ma pericoloso. Promuove l’idea che il valore di una persona sia legato al numero sulla bilancia, favorisce restrizioni estreme, effetti yo-yo e può sfociare in disturbi del comportamento alimentare (DCA).

Inoltre, l’approccio standardizzato e impersonale di queste “diete a distanza” ignora completamente la complessità individuale: ogni paziente ha una storia clinica, uno stato ormonale, una risposta metabolica, uno stile di vita e una composizione corporea unica.


Dimagrire non è un atto commerciale, né un gioco a premi. È un processo biologico e psico-emotivo complesso che richiede tempo, monitoraggio clinico, educazione alimentare, adattamenti personalizzati e attenzione alla salute mentale. Le soluzioni rapide, preconfezionate e spinte dal marketing non sono sostenibili: offrono solo risultati apparenti, spesso seguiti da ricadute ancora più gravi.

Promuovere la cultura della consapevolezza, della scelta autonoma e della cura di sé è un dovere etico di chi opera nella salute.


6. Impatto psicologico: ansia, depressione e dismorfofobia

La restrizione calorica drastica e prolungata, soprattutto se seguita in autonomia o sotto pressioni sociali e mediatiche, può avere effetti profondamente destabilizzanti sulla psiche, alterando i meccanismi di regolazione dell’umore e favorendo l’insorgenza di disturbi psichiatrici.

Coinvolgimento neuroendocrino

La serotonina e la dopamina, due neurotrasmettitori fondamentali per il tono dell’umore, la motivazione e il piacere, vengono influenzati in modo negativo dalle diete ipocaloriche estreme.

  • La serotonina (cioè il neurotrasmettitore che regola il senso di benessere, sonno, sazietà e stabilità emotiva) viene ridotta drasticamente in caso di basso apporto di triptofano, un amminoacido essenziale contenuto nei cibi proteici.
  • La dopamina (coinvolta nella gratificazione e nella motivazione) si abbassa in risposta a frustrazione alimentare prolungata, portando a sintomi di apatia, disinteresse, e difficoltà di concentrazione.

Questo squilibrio induce:

  • Aumento dell’ansia anticipatoria legata ai pasti,
  • Umore depresso o altalenante (depressione atipica),
  • Riduzione dell’autostima e alterata percezione del proprio corpo.

Corpo come nemico: nascita della dismorfofobia

In soggetti predisposti, soprattutto donne e adolescenti, la perdita di peso rapida può innescare meccanismi di controllo ossessivo dell’immagine corporea. Questo è tipico della dismorfofobia o dismorfismo corporeo, cioè una percezione distorta del proprio aspetto, anche in presenza di un peso nella norma o addirittura sottopeso.

Il soggetto, anche dopo aver perso decine di chili, continua a vedersi “grasso” o “inadatto”, cercando un ideale irraggiungibile di perfezione fisica. Questo disturbo può sfociare in:

  • Comportamenti compulsivi (es. pesarsi decine di volte al giorno),
  • Evitamento sociale (non mostrarsi in costume, evitare gli specchi),
  • Disturbi del comportamento alimentare come anoressia, bulimia o binge eating (abbuffate compulsive seguite da senso di colpa).

Il ruolo dei social media e della gratificazione rapida

La costante esposizione a modelli estetici irrealistici promossi da influencer, diete-lampo e pubblicità motivazionali (tipo “trasformazioni in 30 giorni”) alimenta il ciclo dell’insoddisfazione. Il cervello sviluppa una dipendenza dalla gratificazione visiva del dimagrimento, simile a un meccanismo da dipendenza comportamentale.
Quando il dimagrimento rallenta — per adattamento metabolico — o si arresta, insorgono frustrazione, panico e ricadute emotive.

Rischio clinico: diagnosi sottostimate

Molte di queste condizioni non vengono diagnosticate nei percorsi di dimagrimento, soprattutto se seguiti online o in autonomia, senza monitoraggio psicologico. Eppure, l’impatto psicologico può compromettere:

  • La qualità della vita,
  • Le relazioni sociali e affettive,
  • La capacità lavorativa,
  • La stabilità emotiva a lungo termine.

Un intervento sul peso non può prescindere dalla salute mentale. Le strategie nutrizionali devono essere sostenibili, graduali, empatiche e supervisionate da professionisti qualificati.
Includere un supporto psicologico — anche preventivo — non è un optional, ma una componente fondamentale di ogni trattamento serio del sovrappeso o dell’obesità.


Conclusioni

Perdere peso non è un semplice bilancio tra calorie introdotte e calorie consumate, ma un processo biologicamente complesso, che coinvolge in modo profondo e interdipendente il sistema endocrino (cioè quello ormonale), il metabolismo (le reazioni chimiche del corpo) e la rete neuropsichica (cioè il cervello, le emozioni, i neurotrasmettitori).

Ogni tentativo di forzare questo equilibrio con diete drastiche, farmaci psicoattivi o percorsi alimentari industrializzati può disinnescare meccanismi naturali di regolazione, generando nel tempo:

  • Rallentamento del metabolismo basale, ovvero la quantità di energia che il corpo consuma a riposo;
  • Fame cronica e disregolazione dell’appetito legata a squilibri della ghrelina, della leptina e di altri ormoni;
  • Perdita di massa magra, con indebolimento muscolare e peggioramento della composizione corporea;
  • Alterazioni psichiche e dipendenza da strategie dimagranti rapide, con rischio di dismorfofobia, ansia e depressione.

Le evidenze scientifiche richiamate dimostrano che qualsiasi approccio serio al sovrappeso e all’obesità deve fondarsi su gradualità, competenza clinica e personalizzazione, tenendo conto della complessità biologica di ogni individuo.

Non esiste un cibo miracoloso, un programma universale o un farmaco risolutivo. Esiste invece la necessità di educare il corpo e la mente a una nuova normalità metabolica, sostenibile nel tempo, rispettosa delle esigenze fisiologiche, delle emozioni, e dei ritmi biologici.

Il vero successo in ambito nutrizionale e clinico non è la velocità con cui si perde peso, ma la qualità con cui si costruisce salute duratura.

Dott. Vito Traversa
Biochimico, Nutrizionista, Chinesiologo, Terapista della Ried.Funzionale